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Società

Buonismo: perché il totalitarismo dei buoni sentimenti deve finire

Buonismo: perché il totalitarismo dei buoni sentimenti è diventato intollerabile

Il buonismo è il lato viscido della cattiveria. 

Fausto Gianfranceschi

Buonismo on trend

Raccolte fondi, raccolte di like, raccolte figurine e raccolte di business, questo è il mercato dei benefattori e chi non ci si butta non vince niente (sembra).

Divismo fa rima con attivismo ed è insopportabile

E anche se la maggioranza dei “mastri precettori di fanfaluche” del marketing respingono la tesi, ritenendo imprescindibile per il successo dei marchi lo schierarsi in battaglia fianco a fianco con il target di riferimento, credo che sia giunta ufficialmente l’ora di piantarla con questi piagnistei una volta per tutte.

Finiamola con il “socialismo dello champagne*”

Con socialismo dello champagne si intende quell’atteggiamento borghese radical chic, visceralmente ipocrita, poiché di facciata, da cui oggi partono tutte quelle iniziative di comunicazione “evangeliche” volte alla subdola persuasione dei consumatori.

In questo modo, infatti, i fini capitalistici dei brand vengono offuscati attraverso la promozione, appunto, di altisonanti iniziative “benefiche”, caritatevoli, di tolleranza e altre svenevoli cose del genere.

Schiacciati e spremuti da flussi di informazioni continue, che anche se mute ( come le immagini), urlano, stimolano e urtano il nostro sistema nervoso, veniamo trasportati sul nastro della spersonalizzazione come scatoline di latta riempite dall’alto di “contenuti” per essere poi sguinzagliati belli impacchettati e inzuppati di stupidaggini sulle infinite, misericordiose vie del consumo.

C’è da dire che questa diabolica strategia funziona, perché tutti, ma proprio tutti, dai produttori di capsule per lavastoviglie ai venditori di borsette da 3000 euro e persino ai più audaci idioti rappresentanti dell‘influencer system internazionale ci si sono buttati.

Ed è proprio questo contagio di bontà grondante ovunque di menzogna, superficialità e affarismo che oggi rende questa “tendenza” a tutti gli effetti INTOLLERRABILE

La verità è che nessuno ha bisogno di essere sensibilizzato alla “bontà”, da loro.

Il limite della sopportazione di questa sorta di ondata “umanitaria” che da qualche anno a questa parte ha infestato i nostri costumi e consumi, modificando anche il nostro linguaggio, infatti, deve finire il prima possibile. E non solo perché stiamo arrivando alla blasfemia con la selvaggia moltiplicazione di invadenti, quanto ipocritissime attività, ma perché il moralismo è ufficialmente diventato il nuovo pilastro del pensiero unico.

Il falso buonismo imperante produce un livellamento delle coscienze mirante a cancellare ogni identità e a controllare meglio i cittadini.*

Se partiamo dal presupposto che la maggior parte delle persone che fruiscono il flusso di informazioni non è in grado di comprenderne i suoi significati profondi, poiché da una parte non riesce a gestirne la quantità (sono troppe) e dall’altra non ha gli strumenti culturali per interpretarli e assimilarli criticamente, possiamo ben intuire come tutto questo diluvio di propaganda moralistica si risolva in un bel sacco di niente dal punto di vista etico e spirituale.

 Non è un caso, infatti,  se nell’esercito di missionari 3.0 militino aziende che fanno girare business da miliardi di miliardi euro con il loro pane e compassione.

Meglio un lungo, crudele silenzio, piuttosto che tutta questa finta bontà da panettoni Bauli

Dirigendo l’attenzione sul settore Moda, allora, viene da chiedersi, se questa possa permettersi il “lusso” di tornare a occuparsi SOLO di vestiti, perché di BEI vestiti e accessori eterni, ce ne sarebbe davvero bisogno. Purtroppo, è altrettanto chiaro che al giorno d’oggi, la vera bellezza, la discrezione e la riservatezza non sono valori che galvanizzano la massa, però non è detto che sia per sperare in un cambiamento radicale.

 

Bio

*https://unoeditori.com/il-politicamente-corretto-e-il-falso-buonismo-i-nuovi-pilastri-del-pensiero-unico-2/

https://www.businessoffashion.com/articles/professional/brand-activism-without-hype-or-hypocrisy?utm_source=twitter.com&utm_medium=socialshare&utm_campaign=bof

 

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2 Comments

  1. Parto dalle ultime righe del tuo post: di bei vestiti, solo bei vestiti ce ne sarebbe un gran bisogno! Fatti bene, per durare, col giusto impatto ambientale e senza sfruttamento di manodopera.
    Ecco, tutto ciò sarebbe BUONO senza tanti -ismi.
    Il giusto ricarico completerebbe il quadro idilliaco…
    Non posso permettermi le grandi marche (che non mi piacciono neppure) non mi abbuffo di fast fashion (un gliela fo) mi diverto a scovare il capo che risponde alle sopracitate caratteristiche nei mille rivoli alternativi, nell’aurea via di mezzo tra i due estremi. E quando compro qualcosa da chi ha prodotto con le proprie mani, direttamente, guardandoci negli occhi con un sorriso, sento di fare BENE, senza -ismi.
    Saluti da Elena

    1. Brava Elena, anche io mi sto disintossicando dal fast.

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