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Gucci beauty, il caso. Il brutto è più sincero del bello?

Gucci Beauty: sul brutto e il bello, ma soprattutto sincero

Sincero, /sin·cè·ro/ : autentico, non alterato, schietto, chiaro.

Dal latino sine cera, ossia puro come il miele senza cera, ma anche genuino come le statue che non erano state sottoposte al trattamento con la cera là dove il marmo fosse stato logorato. Ai tempi dei Romani, infatti, si era soliti usare la cera, per risanare le crepe delle sculture, di modo che, almeno da lontano, apparissero perfette.

Sincera virtù? Il marketing inclusivo

In principio fu “Dove”, che 15 anni fa lanciò l’ormai famosa campagna “Real Beauty”, ma la storia del marketing inclusivo è lunga ed è tutto fuorché una novità.

Cercando di selezionare qualche tappa fondamentale dal caotico business della “bontà”, potremmo ricordarci di Asos, che dal 2017 propone un catalogo di modelle non photoshoppate, per poi planare sulla performance del 2018 di capi lingerie firmati Rihanna (Savage x Fenty) dove un’orda di donne mostravano corpi di ogni forma, misura ed etnia.

Oggi tutti si sbalordiscono della campagna costumi di H&M,

al centro del dibattito mediale per aver scelto come testimonial tal Jennie Runk (taglia 48/50) senza ricorrere a nessun tipo di editing, ma che dire dire di quel canone estetico spelacchiato e corroso dagli stupefacenti supportato da Slimane, della psico-spigolosità di Gvasalia o dei volti allampanati delle campagne di A.Michele?

Proprio Michele, peraltro, è tornato a dominare la pagina scandalistica del fashion system con la sua nuova musa scelta per il rilancio di Gucci beauty.

Dani Miller & Co. : la carica dei “messia lebbrosi” alla Ziggy Stardust

Come dicevo, è appena stato rilanciato Gucci Beauty che con il sorriso splatter di Dani Miller (professione rocker) pretende di farci sentire audaci veri, duri veri, strani veri, come la tizia eletta a testimonial, manifestamente androgina, palesemente “vintage”, sfacciatamente David Bowie.

Abbassando un momento il volume ai sostenitori e ai detrattori della scelta di A.Michele, vorrei far notare che la faccia dipinta dell’artista venduta come simulacro o germe virulento di una rivoluzione estetica non ha nulla osceno e tanto meno di veramente significante per la collettività.

E’ un tentativo di shock, ma uno shock apparente

Il suo volto, infatti, ci è familiare. Non ha nulla di anticonformista o ideale, ma, anzi, rassicura con una stravaganza più che riconoscibile tutti noi morti di nostalgia.

E’ proprio da Bowie il Salvatore dei diversi, l’imperatore alieno,

che A.Michele parte per riposizionarsi sul mercato make-up dopo il rallentamento della crescita del suo ready to wear.

E chi potrebbe meglio di Ziggy Stardust e dei suoi avatar rappresentare l’ambiguità di genere, l’eccentricità e l’irrequietezza del mondo contemporaneo?

Insomma, tornando al discorso intavolato poco sopra, una serie di congiunture fortunate

hanno convinto la piazza di essere testimoni e attori di un irreversibile cambiamento epocale, ma è davvero un rivoluzione estetica?

Non sarà, piuttosto, la nostra ingenua, quanto incrollabile fede nella simulazione e nell’ipocrisia a perpetuare saltuariamente questa stupefazione generale di stampo indiscutibilmente teorico?

Sull’estetica di Instagram: il dibattito si allarga

Freschi di facce brutte e ciccia, i più arditi sono arrivati a elaborare criminosi, quanto apocalittici scenari per gli abitanti di Instagram.

Si parla della inesorabile decomposizione di quel mood stucchevole e smielato fatto di sfumature pastello, cappuccini e bambolette fillerate /scartavetrate. Gli utenti, come riportano i disfattisti, oggi sembrerebbero preferire le foto scattate a caso, o presunte tali, le smorfie alle pose, la naturalezza all’artificio, il brutale al “gentile”. Via le macchine fotografiche, la cromia curata e stop all’editing.

Ma davvero il “brutto” è il nuovo paradigma? Ma soprattutto, davvero pensate che il non propriamente, ufficialmente “bello” possa rimpiazzare il “bello oggettivo”? E che il primo sia più vero del secondo?

Davvero riuscite a credere che il “brutto” sia sincero? Che la scarpa di Balenciaga Triple S sia più “vera” e giusta della slingback Chanel?

Vi inviterei alla riflessione: la violenza estetica o il disturbo visivo dell’ “ultramerce” sono più sincere degli unicorni e delle pink wall o, forse, trattasi del medesimo “mostro”al pari dell’ Idra di Lerna con tutte le sue teste ben assestate su di un possente dorso?

imamgini via pinterest.com, Gucci (Fb e gucci.com)


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