regime felicità, consumi 2020, società consumistica
Società

Regime felicità: la felicità è un diritto, ma soprattutto un dovere. Ma chi l’ha detto?

Regime felicità la felicità è un diritto, ma soprattutto un dovere

Regime felicità. Non puoi essere triste o anche solo “medio” come diceva Stefano Belisari in arte Elio, tu devi essere felice con la F maiuscola. Devi essere Felice e devi farlo sapere a tutti i tuoi contatti Instagram. Ma puoi anche fare di meglio! Metti qualche hashtag e arriva almeno a tutta la tua “nicchia”. Sì, anche a quelli che non conosci, cosicché ti stimino, ti emulino e magari ti seguano, anche solo per mandarti degli accidenti, poiché invidiosi della tua suprema (quanto fasulla) felicità.

Ci hanno condannato alla felicità quotidiana, sì, condannato

Scrive Bauman:

il valore più caratteristico della società dei consumi […] in relazione al quale tutti gli altri valori sono chiamati a giustificare il loro merito, è la vita felice. […] (La nostra società) è l’unica che rinuncia a giustificare qualsiasi specie di infelicità, SI RIFIUTA DI TOLLERARLA e la rappresenta come un ABOMINIO, per il quale si invocano la punizione dei colpevoli e il risarcimento delle vittime.*

*p.47 Vite di corsa

Consumiamo per vivere e viviamo per consumare

Il pensiero non è contemplato, poiché potenzialmente compromettente. Il consumo, invece, è l’unica fonte di ottimismo, infatti, l’economia funziona quando volano i consumi.

Il consumo, poi, è democraticissimo, ogni individuo, infatti, ha accesso a servizi e prodotti in linea con le proprie possibilità di spesa. Servizi e prodotti in linea con le proprie possibilità di spesa a cui non mancano di affiancarsi quelle infinite “wishlist” di vanità concepite come beni aspirazionali, senza i quali, peraltro, l’intero sistema mercatistico governato dal prezzo come massimo valore, rischierebbe di implodere.

Il sillogismo Aristotelico è presto fatto:

premesse:

  1. Tutti gli uomini non sono felici.
  2. I consumi rendono felici

Se consumi sei felice.

Il possesso di nuove merci è l’unità di misura della felicità, più acquisti, più sei felice, ma anche il semplice desiderio è fonte di straordinario benessere, anzi, per certi versi l’attesa della conquista del bene è pure più esaltante dello stesso acquisto, ma perché?

Ecco perché acquistare merci dà piacere

L’ acquistare o il sognare di possedere un certo bene sono azioni percepite come piacevoli ed esaltanti, perché aprono l’accesso ad una sorta di buco spazio temporale che sposta l’ attenzione da una monotona vita reale con annesse fastidiose problematiche, ad una parallela ricca di “premi di consolazione” e riconoscimenti sociali. Questi premi, ovviamente, deluderanno ben presto l’aspettativa di felicità augurata, la quale non attenderà, quindi, a reincarnarsi ancora in nuovi prodotti e così via in un ciclo infinito.

L’autentico volano dell’economia finalizzata ai consumi è la NON soddisfazione dei desideri, unita alla salda e perpetua convinzione che ogni atto finalizzato alla loro soddisfazione LASCIA MOLTE COSE DA DESIDERARE E PUò VENIRE MIGLIORATO.*

*p.52 Vite di corsa, Z.Bauman

Eppure siamo sempre più infelici. L’infelicità come tabù

Ovviamente l’informazione pilotata tradizionale si guarda bene dal diffondere numeri pericolosi che smentiscano il pittoresco Regime Felicità.

Eppure, non si sono mai venduti così tanti psicofarmaci e droghe come oggi. Eppure, una persona muore ogni 40 secondi per suicidio. Eppure, proprio il suicidio è la seconda causa di morte nel mondo tra i più giovani.*

Abbiamo perso la forza di accettare l’infelicità, ma chi l’ha detto che devi essere felice 365 giorni all’anno e 24h su 24?

Antiche verità

Si dice che i nostri nonni vivessero meglio di noi e il modo di dire “si stava meglio quando si stava peggio” non è un gioco di parole, ma un semplice assioma basato sulla inconfutabile certezza che la vita era quello che era e la si accettava.

Non c’era scampo: non c’era rancore per il non funzionamento degli ascensori sociali, non c’erano proprio gli ascensori. Si prendeva quello che veniva, nella maggior parte dei casi senza aspettative, se non quelle di arrivare a fine della giornata per riposare.

Oggi la civiltà Occidentale del post-benessere è rattrappita in una fosca atmosfera dove i gingle pubblicitari e le inserzioni Google, Facebook, Instagram e compagnia frullano cervelli h.24 imponendo un silenzio tanto goliardico, quanto allucinogeno intorno alla coscienza e alla consapevolezza dello scopo reale per cui si è in vita. Il pensiero è assopito e divorato dall’angoscia, poiché si nutre di esperienze passate e ansia per il futuro, in pratica, vivere il presente non è contemplato.

In questo regime, l’unica speranza di sopravvivenza al dolore viene situata in evasioni last minute, da prendere al volo, chiaramente, senza pensarci un attimo.

Non si fa altro che parlare di sostenibilità, ma forse, prima di scaricare sulle aziende tutte le colpe, si dovrebbe iniziare a lavorare su noi stessi cominciando ad accettare quella spericolata idea che la vita possa essere anche fatta di noia, frustrazione e infelicità.

D’altronde già nella Grecia classica passando per Esopo, Eschilo, Socrate o per le tragedie viene testimoniato quanto salutare per la formazione di una spirito virtuoso possano essere le esperienze dolorose.

L’infelicità ha un ruolo pedagogico

Nulla si conosce tanto quanto quello che si è sofferto. Nella sofferenza fioriscono sempre degli insegnamenti e, forse, sarebbe il caso di godersela un po’ di sana, superba infelicità, non sia mai che oltre ai buffoni, comincino a nascere di nuovo dei saggi.



immagini via pinterest.com

https://www.quotidiano.net/cronaca/droga-italia-1.4565750

Stivali alti quali scegliere per l’inverno 2019? Ecco la mia selezione

Previous article

Dismorfia da selfie: più che umano è meglio

Next article

You may also like

Comments

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *