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Analisi & Approfondimento

Ti svelo un segreto: la sfilata Gucci non manca a nessuno

Addio alle sfilate Gucci per sempre?

Pare di sì. E’ passato un anno da quando Alessandro Michele, direttore creativo della casa di moda, nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria aveva fatto “coming out” riguardo il suo brand.

Poco dopo la famosa lettera diffusa da Giorgio Armani e accolta con grandi ovazioni dal gotha del settore, in un prolisso flusso di coscienza pubblicato su Instagram anche il creativo di Gucci aveva dichiarato di volersi allontanare definitivamente dalle più sofisticate perversioni della moda veloce, perversioni che negli anni erano state assimilate da parte di tutti i protagonisti della moda di lusso (neo lusso democratico) conducendo progressivamente e pericolosamente all’erosione del loro orizzonte simbolico. “Cruise, pre-fall, spring-summer, fall-winter” per Michele erano parole “stantie e denutrite” .

Le sfilate Gucci come concetto da ripensare

Due presentazioni all’anno, senza fissa dimora e senza programmazione, così si sarebbe avviato il nuovo corso di Gucci.

Le impietose confessioni sciorinate in tempo di lookdown da Alessandro Michele, infatti, hanno posto le basi per riprogrammare il futuro dell’azienda notoriamente in sofferenza da qualche stagione.

Si ricordi che dal debutto di Michele con l’ inverno Gucci 2015-16 l’azienda aveva finito per rappresentare l’80 per cento delle vendite e il 60 per cento dei profitti di Kering. Inutile ribadire che quei tempi così euforici e kitsch fosser un ricordo lontano, spazzato via da Bottega Veneta di Daniel Lee e dall’ondata “pandemoniaca”.

Cosa c’è che non funziona più in Gucci?

La parabola discendente del marchio inizia con le celebri pantofole Gucci e finisce con lo scivolone dei collant strappati venduti a 140 euro.

Il successo è quel qualcosa che difficilmente si può replicare a suon di idee disturbanti. Alessandro Michele ha abituato il suo pubblico a digerire estetiche ossessivamente anticonvenzionali, che seppur premiate per il loro coraggio e la loro poetica hippy e antisistema, oggi, faticano a trovare nuovo slancio. E così in store si potano fiori per far posto a rivisitazioni di grandi classici Gucci quali la 1955 Horsebit e la Mini Jackie.

Ecco le cause che hanno reso Gucci indesiderabile:

Marco Bizzarri, Ceo Gucci dal 2014, ha fatto notare che la perdita di fatturato del brand sia da ricondurre alle chiusure e alla conseguente mancanza di contatto diretto con il cliente, fattore che rendeva l’acquisto Gucci un’esperienza emotivamente gratificante. Eppure, non è tutto, ad occhi esperti, infatti, ci sarebbero almeno altri tre fattori cruciali responsabili dell’indebolimento della desiderabilità del marchio:

  • l’esaurimento della richiesta di moda massimalista in favore di un più modesto approccio alla vita vita (v. minimalismo) all’acquisto di moda;
  • la sovraesposizione del marchio, poiché onnipresente in contemporanea sui feed Instagram, sui media, negli street style di tutto il globo e per troppo tempo;
  • ultimo, ma cruciale e crudele: l’eccessiva Michelizzazione di Gucci. Alessandro Michele ha vampirizzato l’heritage del marchio. Gucci è diventata una questione personale per il creativo: la sua anima, le sue attitudini, le sue preferenze sono state trasferite dalle collezioni ai negozi, agli eventi, ai clienti. Ma il consumatore, in quanto persona, si annoia velocemente anche dell’amico più carismatico, più estroso e bizzarro, perché, ormai, lo conosce come le sue tasche, è prevedibile e, improvvisamente, pure un po’ banale.

Cosa aspettarsi per il futuro di Gucci?

Era giugno 2020 quando andava in onda “Epilogue” terzo atto, forzosamente digitale, di un ciclo di comunicazione che come espediente si poneva l’obiettivo di indagare il concetto di moda come lavoro, epifania, rituale, mito, poesia, finzione e realtà. L’appuntamento di novembre 2020 (v. Guccifest) una serie di brevi film creati con la supervisione del vate del New Queer Cinema Gus Van Sant, calcava la mano sul concetto fluido di genere a suon di romanità, arabeschi di floreali e sbuffi di noia. Il prossimo appuntamento è per il 15 aprile e straordinariamente dovrebbe toccare a Balenciaga (altro marchio del gruppo Kering) il compito di tirare fuori dall’overdose Alessandro Michele, il marchio Gucci.

Gucci inverno con Balenciaga: il 2021 anno delle co-lab

Gucci si dovrà svincolare dalla morsa floreale e fluorescente del suo direttore creativo, ci proverà Gvasalia la mente minimal fetish di Balenciaga, ma cosa ne verrà fuori è difficile da immaginare. Comunque sia, si dice che l’unione faccia la forza e in questo caso entrambe le aziende corrono per salvare Kering da quell’enorme distacco che la separa dal concorrente Arnault (LVMH), un divario che rischia di diventare incolmabile.

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