milano fashion week settembre 2020
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Milano fashion week settembre 2020: le novità non sono di tendenza

Milano Fashion Week settembre 2020: le novità non fanno tendenza

Milano Fashion Week 2020: un riassunto

In una quotidianità che perdendo calcinacci di senso si fa sfuggire indizi sempre più ambigui afferenti a una matrice incoerente e a tratti maligna, il modo di pensare di molti muta radicalmente e lo fa portandosi dietro una visione d’insieme della vita e dei comportamenti che, seppur consolidati da una “convenzione” non scritta, non riescono più a combaciare con le aspettative e i bisogni di un mondo sottomesso all'”emergenza”. La moda non è stata interpellata per 7 mesi*, mesi in cui la discrezione e il silenzio sono stati più significativi dei soliloqui, ora, in quanto industria creativa e motore economico centrale del nostro Paese, essa deve ripartire, ma per fare sul serio deve superare se stessa.

La moda oltre la moda: sulla ricerca di prossimità e il disprezzo per il nuovo nella fashion week

Armani rimarrà nella storia anche per aver annullato il distanziamento sociale con una naturalezza e un’eleganza che sconfinano il mero discorso stilistico e comunicativo per approdare nella sfera della psicologia, dell’antropologia e della sociologia, in un tentativo, peraltro, riuscitissimo di ristabilire quella sensazione praticamente annullata, di comunità, umanità e condivisione. È accaduto su La7 in prime time, sabato scorso.

Superfluo, ma significativo. Se la bellezza riesce ad essere senza tempo, non è più superflua

Lasciare le tendenze al nemico è strategicamente opportuno per non rischiare di farsi trasportare dalle correnti generaliste alla deriva del simbolico. Fare leva sul ricordo, ammiccare al glorioso passato, invece, è quanto mai stimolante e intelligente.  Il suo défilé evento “Timeless thoughts” è stato memorabile, non solo per la scelta del format, ma per la sua eccezionale prevedibilità. Non c’era nulla di disatteso (esclusa la presentazione).

“Le ho fatte allora e continuo a farle” dice a proposito delle sue bluse, dei suoi completi scivolosi e delle sue giacche decostruite, tutti cult su cui Giorgio Armani ha costruito un impero che non risente dello scorrere degli anni. Tutti cult che erano lì a ribadire la loro pregnanza, oggi, come ieri.

L’evento Giorgio Armani primavera-estate 2021 si è aperto con un docu-film omaggio alla carriera dello stilista, dopodiché, il tempo è collassato in una cornice rarefatta di spazio, dove uomini e donne dai volti sereni viaggiavano leggeri, come presenze incorporee fatte tutt’uno con le proprie vesti. Tutto era sotto controllo, tutto era estremamente riconoscibile e distintivo. L’anima dello stilista brillava di consuetudini necessarie, ma ovunque si respirava a pieni polmoni l’agio, vera e propria chimera in una contemporaneità di dis-agio.

Il caso Prada ss21 

Se la riconoscibilità è sinonimo di unicità, per comunicare il proprio diritto all’esistenza e proclamare la propria rilevanza si devono avere poche idee, chiare e ben esposte: proprio come hanno fatto Miuccia Prada e Raf Simons al primo appuntamento con il pubblico. Il format sfilata digitale + conversazione è stato fresco, concettuale, eppure spontaneo, in una parola: efficace. Ancora una volta, particolare attenzione è stata riservata all’aspetto comunitario dell’evento, il pubblico, infatti, qualche giorno prima dello show è stato interpellato direttamente su Instagram nell’elaborazione delle domande da porre al nuovo duo creativo, un’ottima strategia per stimolare l’attesa e stabilire un contatto percepito come “personale”. I vestiti (sarebbe meglio chiamarli involucri), presentati magistralmente da una regia che ha evidenziato senza filtri il rapporto uomo-macchina, sono stati l’elemento apparentemente meno eccitante, ma notevole è stato lo sforzo di sincronizzarsi allo zeitgeist mortificante del 2020 rimarcando i capisaldi storici dell’azienda. 

Purtroppo Valentino 

Del tutto priva di agganci con la realtà e rimandi al passato, la performance di Piccioli si è palesata come un grandioso disastro. All’interno di un capannone grigio macchiato di verde (giusto per ammiccare agli amici “sostenibili”) la collezione è stata un patchwork di idee, stili e colori sgargianti (inopportunamente): si potevano scorgere look alla Hedi Slimane x Celine, tratti di Bottega Veneta, Rochas e altri. A fare da collante al “varietà” solo le borchiatissime scarpe e borse che appiccicavano maldestramente questo andirivieni di idee sottili, manifestamente commerciali. Ospitato eccezionalmente a Milano, questo VALENTINO -arabo- bianchetta senza alcuna remora la tradizione Italiana e quel tale signor Garavani di cui porta ancora il nome, ma d’altronde, come Piccioli tiene a sottolineare, “il DNA di Valentino è francese” , e in effetti è vero, di arte nemmeno più un’ombra, ma tante borchie.

Che dire di Versacepolis?

Una Disneyana rassegna di massimalismo marino che butta dentro un po’ tutto: dalle stelle marine alle modelle formose, passando per le gonne carioca e i top da surfista. Scenografia strepitosa, per il resto: molto divertente.

Altro

N.21. Alessandro Dell’Acqua è quello che che ricicla i tessuti, ma per farci limited edition non richieste. E’ anche quello che guarda avanti, ma i completini sbrindellati della tuta rimangono e, purtroppo, anche la noia del minimalismo e del grunge anni ’90 privati di una narrazione attualizzante.

Blumarine. Storia di un marchio desueto, pertanto, attualmente irrecuperabile, niente di personale contro il povero Brognano fresco di debutto alla direzione creativa.

Alberta Ferretti. Perché ostinarsi con la produzione di look da giorno intercambiabili con quelli di Mango, quando, da sempre si sanno fare abiti serali piuttosto ben fatti. Magari non saranno super commerciali, ma almeno non demoliscono l’identità di un marchio, che seppur non essendo mai riuscito a imporre al pubblico accessori di tendenza, un po’ di tradizione ce l’ha.

*il sipario fi-gital di giugno, fatta eccezione per Jacquemus, eviterei di annoverarlo tra gli appuntamenti con la moda.

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1 Comment

  1. La bellezza è oltre il tempo , concordo , Riccardo Magnani su Uam tv ha offerto una chiave illuminante sul Rinascimento

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