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Dipendenza da Instagram: siamo esausti, ma pochi lo ammettono

Dipendenza da Instagram: siamo esausti, ma pochi lo ammettono

Dipendenza da Instagram: fateci uscire dalla caverna!

All’inizio del libro settimo de “La Repubblica”, Platone racconta quell’inquietante storiella dei tizi incatenati in una caverna, completamente incapaci di distinguere la realtà dalla finzione, la verità dalla menzogna.

Ripassando velocemente il mito:

Nelle profondità di una caverna degli infelici giacciono fin dalla nascita costretti all’immobilità e all’oscurità. Dietro di loro, all’esterno, la luce di un fuoco permette ad altri uomini di mettere in scena una sorta di “teatrino”. Questi ultimi, infatti, si dilettano nel proiettare strane ombre sulla parete davanti ai prigionieri utilizzando diverse forme. Il “teatrino”, quindi, inganna i prigionieri sulla natura delle ombre e li induce nel credere che siano l’unica realtà possibile.

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Foto da acam.it

Una realtà di ombre. Una realtà filtrata, una falsa realtà

Fa rabbrividire il parallelo con la nostra condizione di prigionieri Social no?

“Prigionieri”, sì, l’ho detto, perché la nostra libertà non è mai stata così tanto illusoria come oggi. Ma esaminiamo la nostra condizione.

Prima di qualsiasi altra cosa (scienziati, pr, cantanti, trasportatori di iceberg, plurilaureati ecc.) siamo umili, ignari schiavetti “assunti con contratto a tempo indeterminato” da Mark Zuckerberg -o chi per lui- il quale, ça va sans dire, fa business. A costo anche di annientarci.

Ognuno di noi vive nel proprio mondo. Dalle nostre postazioni ha inizio la deformazione della realtà. 

Una brutta faccenda dato che gli stessi artefici di Facebook e Instagram si guardano bene dall’utilizzarli no? (fatevi un giro su Google, scoverete cose che voi umani [..] altro che fake news)

Trappola mortale, sì, ma da Social Network

Ho iniziato questo sermone con il celebre Mito della Caverna, perché non è un caso che sia stato citato la scorsa settimana proprio nel pezzo di Emma Hope Allwood (digital di Dazed), articolo “bomba” dove viene raccontata con grande lucidità e onestà la dimensione tossica della dipendenza da Instagram.

La verità è che tutti noi abbiamo un segreto: siamo esausti. Instagram è il male, lo sappiamo, ma è difficile ammetterlo pubblicamente

Lungi dall’essere un messaggio allarmistico come tanti, quello sostenuto da Emma e condiviso da molti altri (me compresa), dovrebbe essere il punto di partenza per un netto ridimensionamento degli affari cresciuti intorno a Instagram (e affini).

E’ immorale, demenziale, umiliante continuare a compiacere il disegno annichilente dei vari Mark Zuckerberg.

E me ne frego se l’80% dell’incasso della sottoscritta in questo momento proviene da Instagram (grazie a Dio so fare altro). Credo, infatti, che l’assurdità a cui questo social ci costringe sia diventata inaccettabile e che il mito del lavoro più bello del mondo (quello delle Instagramers) che ogni giorno miete vittime inconsapevoli, debba essere smascherato.

Il lavoro più bello del mondo (dell’ “influencer”) è una caxxata

Non c’è niente di più nocivo per salute mentale e psichica degli individui del continuo e bestiale confronto con gli altri, di quella competizione portata a livelli inverosimili -poiché regolata da criteri arbitrari e fortemente antimeritocratici-, di quel desiderio spasmodico di consumare per mostrare e di quell’insanabile vuoto morale e valoriale di cui tutti siamo colpevoli.

Nessuno è immune al disagio da Social. E, ancor peggio, nessuno è immune all’inesorabile atrofia cerebrale a cui i social come Instagram ci stanno costringendo.

Si comincia smettendo di scrivere, poi di parlare e poi di pensare

Ansia, panico, omologazione, alienazione, dipendenza. Esaltazione e frustrazione. Consumo e vendita. Facebook prima, Instagram oggi.

Tutto viene guidato da algoritmi imperscrutabili, che lungi dal fare i nostri interessi, hanno solo il compito di protrarre la nostra permanenza sulle piattaforme. 

Questa volta siamo noi ad essere intrappolati, incapaci di comprendere il terribile gioco che viene orchestrato alle nostre spalle. Completamente ossessionati dal feed Instagram, da pollicini e cuoricini, trascorriamo vite (o presunte tali) inseguendo ombre, ovvero, proiezioni irreali di individui sempre più trasparenti e staccati dal loro vero sé.

Ombre e rappresentazioni, stimoli e reazioni, ecco su cosa si basa la tanto ricercata “interazione”

I social sono sistemi che si basano su stimoli appaganti che hanno origine dal sistema dopaminico.

La Dopamina è il prodotto chimico che media il piacere nel cervello. È rilasciata durante le situazioni appaganti e, oltre a dare una sensazione di grande benessere, ci stimola alla continua ricerca di ciò che ci ha dato piacere.  

Il sistema dei Social si fonda su di un perpetuo bombardamento di informazioni ad alto tasso emotivo

I Social, quindi, privilegiano un modello di fruizione elementare basato su stimolo-risposta, premiando l’istinto, l’impulso, la stupidità, piuttosto che la qualità informativa o contenutistica. Questo modello,  pertanto, non prevede e non permette di andare oltre la superficie delle cose.

La conoscenza rimane superficiale e le nostre capacità intellettive regrediscono.

Ci stiamo disabituando alla più umana delle attività: al pensiero

Pensiero e riflessione, infatti, richiedono tempo, sedimentazione, ma nella dittatura Social queste variabili non sono previste, perché è nostro dovere fondante consumare.

Non c’è servitù peggiore della servitù del pensiero” (cit.)

Un’umanità di fragili disadattati, dediti al consumo: questa è la più brutale delle schiavitù e praticamente nessuno ne parla, sarà forse perché è troppo tardi?

Forse il nostro annichilente destino era già scritto all’alba di quella forma di intrattenimento televisivo nota con il nome di “reality”.

Gli stessi reality che di reale avevano (e hanno ancora oggi) solo una sceneggiatura accuratissima definita quotidianamente in cabina di regia (nell’acquario). Con il senno di poi, dopo la democratizzazione delle “telecamere” sui nostri cellulari, forse, solo un ingenuo non avrebbe potuto prevedere lo scenario demoralizzante in cui ci troviamo a nuotare oggi.

“Se tu nutri la bestia, questa ti distruggerà”

Chamath Palihapitiya ex Vicepresidente Facebook

[se sono qui a scrivere, è per non dimenticare come si fa, anche se non sono totalmente sicura di riuscirci]

*questo è link dove potrete approfondire la questione inerente la dipendenza da like, con la testimonianza dell’ex vicepresidente di Facebook https://www.youtube.com/watch?v=cyDauWYj_L4    

Immagine copertina via pinterest.com




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ph. Ksenia phot lab

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17 Comments

  1. Sono pienamente d’accordo con il tuo pensiero.
    Nuovo post “I LOVE FASHION BLOGGER” ora su http://www.littlefairyfashion.com

  2. verissimo, io a volte mi esaurisco a star dietro a instagram, post stories … uff
    bellissime le scarpe!!!
    baci

    http://www.unconventionalsecrets.com/

  3. Ho sempre pensato di vivere in un secondo medioevo!!!
    Il rinascimento dovrà avvenire prima o poi!!
    Sei fantastica!
    Un bacio
    Marina

  4. I translated your post to understand it and I see I agree totally with you 😉 There is danger and many people will accept to ignore it … sad! To finish on a positive note: your outfit is great and superbly elegant 😉

    https://4highheelsfans.wordpress.com/2018/05/31/organic-food/

    1. Thanks so much <3

  5. Questo post mi ha messo un pò l’ansia… forse perchè mi ci ritrovo parecchio!!
    Il tuo look comunque mi ha tirato su d’umore, elegante, raffinata e super chic, davvero bella.
    Un bacione! F.

    La Civetta Stilosa

  6. La tua onestà è da ammirare… chapeau!!!

    1. Grazie

  7. Sarà che mi è sempre piaciuto leggere, sarà che preferisco la sostanza e l’essenza all’apparenza, sarà che son parecchio obiettiva e selettiva, fatto sta che preferisco persone che mi diano qualcosa oltre ai semplici consigli per gli acquisti più o meno camuffati.
    Con una sorta di effetto cascata ho scoperto su Instagram donne che pensano, scrivono, agiscono, inventano, creano bellezza e ne fanno anche commercio sì, ma con etica e onestà.
    Bisogna saper scegliere.
    Stare a osservare, sognare e invidiare la falsa vita degli altri non mi interessa…
    Però ammiro te che scrivi sempre cose interessanti contornato da splendide foto.
    Elena

    1. Elena grazie infinite <3

    2. Elena grazie infinite <3

  8. Elisa, grazie a te…
    Mi piace tanto leggere e sono appassionata di fumetti, giusto oggi ho letto uno dei miei preferiti, *JULIA le avventure di una criminologa* di Giancarlo Berardi e ho pensato a questo post… Il titolo è “Web Star”.
    Ci ho ritrovato molte delle osservazioni che fai tu qui da tempo sul “mondo” della rete.
    Ah, Julia, la protagonista, ha un guardaroba impeccabile e ha il volto di Audrey Hepburn!

    1. Maddai che mondo interessante quello dei fumetti, devo approfondire! Grazie Elena

      1. Letteratura disegnata…
        Non l’ho inventata io questa frase, ma la riporto perché definisce al meglio la fusione tra parole e immagini.
        Il fumetto è una delle arti, dove ancora esistono china, pennini, pennelli e la manualità del disegnatore…dove la tavoletta grafica può essere utile ma non indispensabile.
        Buon viaggio tra le nuvole parlanti 🙂

  9. What can be better? Black dress, white cat-eye sunnies and dotted pointed toe pumps!
    Best,
    Xenia
    from
    http://stylefavourite.com/

    1. thanks Xenia :*

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