Tag: Streetwear culture

<h1>Streetwear culture: è roba da mocciosi e ci ha ampiamente rotto le scatole</h1> Streetwear culture: ripuliamo la scena dai "designer" di streetwear"<em>Diffidate dei poeti vestiti da poeti, delle rose rosse e dei capelli biondi"*</em>Come dicevo, il mestiere del momento è il <a href="https://www.theladycracy.it/2018/05/27/designer-famosi-moda-ecco-come-cambia-il-mestiere-del-creatore-di-moda/">designer di moda</a>. In effetti, ad un certo punto della tua carriera se non metti giù un po' di felpe sbiadite e un paio di sneakers cinesi abbastanza brutte da giustificare il prezzo sopra gli 800 euro, bè, non vali niente. <h2>Si chiama streetwear e sa di dissidenza poiché vanta umili natali, ma adesso fateli smettere</h2> L'uniforme tutta felpe oversize, t-shirt e scarpone nasce come codice anticonformista tra le ghenghe di buontemponi a quattro rotelle. In questo stile svogliato e comodo i cattivi ragazzi dei quartieri periferici ambiscono alla salvaguardia della loro particolare specie distinguendosi da tutto e da tutti. Ma oggi che James Jebbia è ricco sfondato e che Abloh firma persino la cartaigienica, aspettiamo tutti con ansia che anche i mocciosi si stanchino di dilapidare la 13ma dei genitori per le nuove scarpazze Yeezi. <p style="text-align: center;"><strong><span style="font-family: 'courier new', courier, monospace;">Ebbene sì, lo streetwear ci ha rotto unanimemente le palle, tanto quanto l'hip hop e i rapper (in particolare quelli Italiani)</span></strong></p> In nome dello <a href="https://www.theladycracy.it/2018/04/15/streetwear-2018-avete-mai-pensato-a-cosa-potrebbe-esserci-dopo/"><strong>streetwear</strong></a> ( peraltro, come in quello della musica), infatti, si stanno facendo e dicendo le peggiori bestialità, tanto è vero che sotto la sua immensa ala protettiva, oggi, trovano rifugio i più <strong>spietati incapaci</strong> e i più <strong>spericolati, sedicenti artisti.</strong>E così c'è chi fa cioccolata per Starbucks mentre promuove Moncler, c'è chi fa valige e mobili Ikea mentre si appresta ad entrare in Louis Vuitton. <h3>"Il designer, non è  più un designer, ma un disturbatore"</h3> Ma in che senso? Se disturbare significa comprarsi la fama <strong>rivendendosela come talento</strong>, depredare <em>heritage</em> storici, banalizzare e <strong>arraffare</strong> contratti milionari, siamo d'accordo.Disturbare alla loro maniera, infatti, non ha niente di politico o anticonformista, piuttosto, significa lasciare tutto com'è, anzi, peggiorarlo.Con questa affermazione, quindi, il dj e altre cose, Hiroshi Fujiwara ("noto" per aver portato lo streetwear in Giappone negli anni '90), in un gesto di solidale fratellanza parla della felice collaborazione tra Nike e Abloh, giusto per ricordare all'intervistatore quanto sia figo lui, fresco di contratto con Moncler e quanto sia giusto mettere in mano a dei " tizi a caso " dei marchi di moda internazionali.<strong>Magneti di fancazzisti e patrocinatori di luoghi comuni, leggende metropolitane e fanzine, i designer-dj-rapper-producer-guitar arrangers-power rangers and many other fantastic things, sono il male</strong>