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LVMH Group: Arnault asso piglia tutto, salutiamo l’ “assolutismo” della moda

LVMH Group: Arnault fa shopping di marchi, è lui il Re Sole della moda

Il popolo della moda si accinge a incensare e salutare con omaggi floreali e frutti l’alba del nuovo impero Francese d’Occidente. “La guerra delle due rose” tra i “plantageneti”  Kering e LVMH ad oggi sembra avere un vincitore assoluto: la casata degli Arnault. 

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La dinastia Arnault che oltre ad accumulare risultati da record nel comparto pelletteria e profumi con Maison Dior e Louis Vuitton, ha il vizio di collezionare marchi come se fossero figurine, con il 2019 chiude un ciclo di acquisti, lanci e rilanci che non hanno precedenti nella storia.

Se l’anno scorso fiutando l’affare del celebrity business, nonostante le ostilità dei puristi, gli Arnault avevano osato piazzare Abloh alla direzione creativa maschile di Louis Vuitton, marchio storico, nonché ammiraglia della compagnia, quest’anno è stato il turno di Rihanna.

Il potere si muove rapido come un felino e con rapidi agguati: la prova della forza economica del gruppo LVMH è stata inaudita e non teme rivali

Se solo lo scorso gennaio il diario di bordo del lusso annotava la partecipazione del gruppo nel discreto, ma ambizioso gioiello fondato da Gabriela Hearst, a maggio il mondo registrava lo sfrontato debutto del brand Fenty Maison con a capo la cantante Rihanna in veste di “stilista”. Dopo averne testato la portata commerciale in Fenty Beauty, infatti, il vecchio Bernard non ha minimamente esitato nello scommettere sull’appeal della popstar per accaparrarsi una fetta di mercato costituito da giovanissimi alla ricerca di beni aspirazionali a cui affidare le proprie grigie esistenze. 

Ma se pensavate che i lupi di LVMH si prendessero una pausa per il periodo estivo,

a disattendere la vostra ingenuità ci ha pensato Stella McCartney che se fino a qualche mese fa sbandierava con fierezza la sua nuova indipendenza ( fino all’anno scorso faceva parte del gruppo Kering), il 16 luglio 2019 comunicava al fashion system la sua nuova eccitante partnership con il colosso di cui sopra. 

E che dire poi dell’imminente rilancio di Maison Patou?

Sarà il giovane designer Guillaume Henry (ex Nina Ricci e Carven) a presentare la sua prima collezione il prossimo settembre.

Ma cosa rappresenta Patou per il popolo consumatore?

Fondata nel 1914 da uno dei capostipiti della moda più visionari e avanguardisti del secolo scorso, A.J.Patou, tratteggiato dalla stampa Americana come “l’uomo più elegante d’Europa”, fu il primo a fornire abbigliamento sportivo alle donne e a creare il concetto di capo “griffato” apponendo le sue iniziali su tutti i suoi abiti.

Se fino ad oggi lo spettro di Patou sbiadiva tra i sospiri di qualche profumo sopravvissuto alle compravendite, ora che LVMH ha il controllo di tutte le divisioni del marchio la faccenda si fa appetitosa.

Ante lucrum nomen

(la reputazione prima del guadagno)

ecco a cosa servono i revamping

I rilanci dei marchi storici richiedono un sacco di soldi, nervi saldi e una buona misurazione del grado di notorietà effettivo e potenziale sul proprio pubblico di riferimento”  (Mario Boselli*)

Le operazioni di rilancio sono un affare assai rischioso, ma dove falliscono i ricchi Orientali, che dalla loro hanno solo una immensa disponibilità economica, con ogni probabilità prosperano i colossi del lusso Francese.

Accaparrarsi un marchio con un ricco patrimonio storico proprio quando il mondo sembra appassire sempre più rapidamente sotto l’effetto narcotico della ripetizione e della saturazione dell’offerta, infatti, è una mossa strategica di grande importanza culturale, prima che commerciale.

Scorrendo la pagina Instagram di Patou si ha la sensazione di entrare in una pasticceria: ma Patou sarà bocconcino piuttosto amaro da digerire per la concorrenza.

Una concorrenza che annaspa. Il rivale Kering, infatti, soffre del rallentamento di Gucci, vero motore del gruppo, mentre  Bottega Veneta recupera lentamente e Balenciaga non entusiasma.

Ricapitolando il gruppo LVMH (moda e pelletteria) è padrone di:

Louis Vuitton, Christian Dior, Givenchy, Loewe, Patou, Fendi, Celine, Kenzo, Emilio Pucci, Marc Jacobs, Loro Piana, Rimowa, Berluti, Moynat, Fenty, Nicholas Kirkwood, Pink Shirtmaker. 

Aggiungendo anche la partecipazione in Stella McCartney e Gabriela Hearst, il monumentale quadro di simboli e immaginari si chiude lasciandosi dietro solo un senso di vertigine.

In un’epoca in cui le genti alla stabilità preferiscono la pluralità delle possibilità e dove si vestono modi di vivere come mantelle, facendo in modo che non aderiscano mai troppo al corpo, ben si comprende quanto cruciale sia disporre di un patrimonio simbolico così vasto e vario per poter soddisfare con la merce le inconsolabili pene di un tempo infausto. I margini di fallimento? Pressoché azzerati.

 

*p.45 da “La moda è un mestiere da duri”, F.Giacomotti

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