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Calvin Klein Raf Simons: ecco perché non poteva funzionare

Calvin Klein Raf Simons, cosa è andato storto?

In casa Calvin Klein avrebbe fatto meglio Ivana Spagna. Ovviamente, la mia è una provocazione, ma credo che l’equazione sia particolarmente comprensibile:

Ivana Spagna sta alla moda come Raf Simons sta a Calvin Klein.

Era l’agosto del 2016 quando lo slavato designer Belga Raf Simons, uno dei massimi esponenti del minimalismo Europeo, figura piuttosto anodina e schiva, quindi pressoché sconosciuta alla barbara massa dei Social Network, veniva accolto in pompa magna da Calvin Klein. La strampalata idea dietro l’insano gesto della compagnia PVH era quella poter replicare la formula Gucci-Bizzarri-Michele su territorio Statunitense senza Gucci-Bizzarri-Michele, con un designer “star” carismatico come un mocio Vileda e con un prodotto di fascia piuttosto bassa. Dico di fascia piuttosto bassa, perché, per chi non studia moda ed è nato nel 2000, Calvin Klein abita l’immaginario collettivo come quello dei boxer con la scritta sul “pacco” di Justin Bieber. Che memorie, che finezza, che studio e che suicidio, pensare che un Raf Simons qualunque potesse infondere un po’ più di charme e prestigio in tutta questa orgia di denim e addominali.

Un bagno di sangue preannunciato. Raf, infatti, in quanto investito della carica di Chief Creative Officier e imperatore del Sacro Romano Impero, avrebbe dovuto guidare la strategia creativa del marchio Calvin Klein a livello globale. In pratica, il poveretto, avrebbe dovuto controllare e unificare sotto un’unica visione tutte e sei le linee CK, dalle mutande alla linea per la casa, senza dimenticare di preparare il terreno per l’ascesa della divisione “couture” con la linea 205W39NYC  (che già il nome è tutto un programma, dato che o lo copi e incolli nelle note o proprio non “gna fai”).

E così, a 8 mesi dalla scadenza del suo contrattino multimilionario Raf viene defenestrato senza alcun indugio, tanto è vero che non ci sarà nemmeno la sfilata a febbraio. E pensare che ci aveva pure provato a “comprarsi” l’uditorio zotico di Instagram ingaggiando tutta la Kardashian family, ma niente. Nemmeno i Kardashian sono riusciti nell’impresa di risollevare il morale e il fatturato dell’azienda.

Ma perché mai un fallimento così clamoroso?

Intanto, va detto che tranne la SS2019, il lavoro sul RTW del nostro Raf non solo era stato sinceramente apprezzato dalla sottoscritta, ma anche dalla maggior parte della stampa internazionale. Raf ha unito uomo e donna in passerella e ha effettivamente cercato di rendere più ricercato il marchio collegandolo ad artisti a lui amici, però la domanda è un’altra:

ma perché farlo?

E da qui la seconda: perché proprio con Raf Simons, di cui la massa, peraltro, ignora non solo la faccia, perché non ha social, ma pure l’esistenza?

Per rispondere a entrambe: suppongo che le ambizioni dei dirigenti  PVH siano state troppo grandiose per essere applicate a un marchio come CK. Schierare Raf Simons per tentare di allargarsi al mercato di fascia alta non solo si è rivelato un nonsense, ma l’influenza del designer sull’immagine del brand ha anche “destabilizzato” quella che era la sua clientela più affezionata, la quale, forte della propria robusta ignoranza, dopo aver percepito un radicale cambiamento di linguaggio dall’alto, ha spostato il suo interesse verso qualcosa di più coerente con le aspettative.

Si dice: “a ognuno il proprio lavoro”, bene, Raf Simons, può continuare a fare la sua moda concettuale, ma sicuramente Calvin Klein si deve tenere la sua identità e il proprio target elettivo.

Se il core business di CK è vendere jeans e mutande, solo quello dovrà continuare a fare e pure al meglio.

 

immagini via pinterest.com

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