Ricercare la felicità: essere felici da piacere diventa obbligo
Ricercare la felicità, non è un piacere. Essere felici,oggi, diventa un dovere. Il vivere social costringe alla vita pubblica e quindi forza quel diabolico dimostrarsi “vincenti e felici”, con il risultato che esserlo (quando mai uno ci riesca) diventa una costrizione, una tortura, una schiavitù. E nella maggior parte dei casi, una finzione.
Ricercare la felicità, costa fatica.
Forse, è più difficile proprio quando dovrebbe essere più facile, per esempio in vacanza. Quando la mente ordinaria si mette a poltrire e tace, si sgrovigliano nel silenzio i pensieri liberi. Anche questo è agosto. Sì, alla fine siamo ancora qui: la nostra sdraio, il nostro sole, i nostri vizi. In una bolla di presente sempre più circoscritta. Restiamo, in apnea. Si fa finta di niente, anche se l’estate 2016 rimarrà nella storia. E non di certo per le Olimpiadi.
L’uomo, forse meglio delle piante, ha imparato ad adattarsi per sopravvivere
(v. Resilienza)
Più che la felicità, non sarebbe preferibile una semplice e modesta serenità prolungata? Che fosse questo il famoso “lembo di cielo” da conservare sulle nostre vite su suggerimento del signor Legrandin? Quel lembo di cielo ingenuo e semplice, distaccato dalla folla, dalla città, dal rumore, bensì, adagiato con indolenza su Combray, paese immaginario sortito dalla penna di Proust?
Ricercare la felicità non dà la serenità, questo è il problema.
La serenità è uno stato d’animo, la felicità è un’emozione momentanea. Viviamo troppo “di momenti” e poco di “periodi”. Eppure, così ci viene insegnato. Prima Snapchat, ora la sua mostruosa caricatura: Ig Stories, ma sempre di secondi si parla.
Di secondi che dicono sempre meno e sempre di più sul niente che riempie la vita.
Un niente cosmico necessario, forse, per sviare l’attenzione dall’incertezza.
In questa pausa di sole forzata dalla consuetudine, proprio mentre veniamo persuasi dal diventare sempre più narr-attori inopportuni, capita di intuire già la stanchezza di questo gioco-protagonismo senza scopo.
Instagram Stories arriva quando l’entusiasmo delle “storie” si è già esaurito.
O almeno così ci si augurerebbe.
La ricerca della felicità: per trovarla, bisogna svoltare
La verità è che gran parte del mondo è stufo. Si avverte il bisogno di cambiare, ma non si capisce bene da che parte cominciare (sicuramente non da un video autoreferenziale-demenziale). E pensare che, nel secolo scorso, per mutare l’umore (e non solo) del mondo intero bastò una faccia rotonda con 2 occhi e un sorriso. Proprio di un Harvey Ball, ci sarebbe bisogno oggi. Di un omino, che con un disegno nato per risollevare l’umore dei dipendenti di una compagnia assicurativa, aveva inconsapevolmente seminato uno stato d’animo nuovo e necessario per la rivoluzione giovanile degli anni ’70. Lo smile diventava così simbolo storico di un ottimismo planetario. Molto di più che stimolo per la felicità, lo smile era la massima rappresentazione della fiducia, della speranza, della partecipazione compatta di una generazione in grado di cambiare il proprio futuro.
In attesa di un nuovo Harvey Ball, buone vacanze.
Nota: Il marchio dello “smile” non fu mai registrato da Mr. Ball. Non gli interessava il denaro. Ball per quella faccina guadagnò solo 45$, quelli della compagnia assicurativa che gli aveva commissionato il lavoro. Era un uomo molto generoso. E solitamente solo gli uomini generosi fanno cose straordinarie.
Fashion Editorial
Camicia + gonna: Storets
Borsa: Chanel
Cappello: New Era
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