Accrediti sfilate Milano: ho smesso.
Appreso che la Milano Fashion Week di febbraio sarà un concentrato di appuntamenti imperdibili, avvertito il brulichio pre-accrediti dei soliti profili vanagloriosi e percepito lo scalpiccio di ogni piccola sottospecie di influencer nell’accaparrarsi uno standing qualsiasi, perché no, anche uno altrui, cari miei, io salto giù dalla giostrina. Fate pure. No, quest’anno non chiederò accrediti, se le Signorie mi vorranno invitare lo faranno di loro spontanea volontà. Con quella medesima spontanea volontà che li spinge a inviare comunicati stampa ogniqualvolta lo ritengano necessario. In caso contrario, non sarà più più affare mio. E, per inciso, i blogger (molti blogger) sono importanti tanto quanto la stampa.
Il blogger che lavora bene è capace di farsi trovare tra i risultati di Google prima ancora delle grandi testate. E con contenuti creativi molto più convincenti rispetto ai tanti copia e incolla postati dai colleghi delle super redazioni.
Quindi, smettiamola di gettare sabbia negli occhi intorno a questa professione, che di ignoranza non si campa. Non si campa di ignoranza e nemmeno di apparenza e popolarità (v. “Errori di marketing: il purché se ne parli è morto).
Proprio la scorsa settimana l’IWA Italia, l’associazione per la professionalità nel web riconosciuta dall’European Committee for Standardisation, ha legittimato ufficialmente i profili professionali del web, e tra essi, anche il lavoro del blogger inteso come WEB CONTENT SPECIALIST.
Figura professionale che si colloca tra il settore della Comunicazione digitale e il Marketing. Gestisce i contenuti di un sito Web.
Missione: il Web Content Specialist si occupa di produrre contenuti, sia testuali che multimediali dei quali è direttamente responsabile, che siano efficaci per una risorsa Web. Cura il contenuto anche in base della piattaforma che lo dovrà ospitare (sito Web, social network, blog, interfaccia) e del target (utenza). Monitora l’usabilità del sito con gli strumenti della customer satisfaction. Può essere free-lance o parte di una organizzazione, pubblica o privata.
E finiamola anche con il jingle della location che è sempre piena, perché lo è e lo sarà finché i Signori persevereranno nel prediligere grossi panieri pieni di niente. Se è vero che “the social media has made the fashion show even more relevant in real life “-Chanel President-, c’è bisogno di fare ordine prima che i beni di lusso diventino niente di più che un’alternativa a Zara per ricche dinastie russe, arabe e orientali.
Accrediti sfilate milano: se non ti invitano, prima o poi lo faranno. Forse. In caso contrario, dopo tre anni in questo sistema ho ben compreso che partecipare alla Fashion Week senza inviti importanti è una delle cose più avvilenti che una persona con un briciolo di dignità possa fare. Se hai un progetto tuo da salvaguardare non svilirlo rincorrendo il sogno della popolarità nascosto dietro una cartolina di street style. Una foto su Vogue non basta più a renderti rilevante per le aziende.
Tutto questo fumo intorno alle Fashion Week prima o poi terminerà.
Ammesso che i designer abbiano ancora qualcosa di interessante da raccontare.
Ho trovato illuminante un articolo pubblicato recentemente su Businessoffashion.com riguardante il lento, quanto incessante, dissolvimento dell’Haute Couture vecchia maniera. Si parla di Couture’s Melancholia.
The culture of couture is vanishing: both the savoir faire on the supply side and the ability to appreciate true, unique beauty, on the demand side.
E’ proprio questo il problema, si stanno perdendo i valori e si sta smarrendo quel concetto appena appena sussurrato, ma assoluto, di bellezza, un’idea che tanto aveva a che fare con l’estasi. Le prime file sono assiepate di personalità insensate, celebrità da strapazzo e nuovi ricchi votati al culto dell’ostentazione. Proprio grazie a questo nutrito carro bestiame succede che l‘arte scompaia come un sogno bruciato dal frastuono. Succede che la moda si svuoti, che i simboli cadano a pezzi insieme al concetto di sublime sprofondato in qualche selfie demenziale.
Il CHI C’è, è più importante del COSA C’é in passerella.
Questa è alta moda? Questo è il modo di comunicare il lusso?
Raccapricciante.
Mentre Christopher Bailey fa sapere che da settembre Burberry accorperà le sfilate maschili e femminili mettendo in vendita i prodotti subito dopo l’evento, attendiamo un mese di Moda Donna che sembra già obsoleto, per non dire vecchio, prima di cominciare.
Fur: Asos; Blouse, Jeans: Mango; Bag: Chanel, Boots: Zara
Marta
ho letto un articolo sul corriere che diceva che le case di moda stanno pensando di rivoluzionare il sistema della sfilate
siccome costano più di quello che effettivamente poi rendono, si pensava di fare piccoli eventi a numero chiuso, tipo le sfilate dei tempi delle nonne in atelier, oppure eventi aperti a tutti ma a pagamento
e trovo che siano idee sensate e finalmente finirebbe il circo di cui parli
a me mette sempre tristezza vedere le sfilate ultimamente, perchè so tutto il lavoro che c’è dietro, dai designer alle sarte, alla fine vedere il risultato di tanta fatica in passerella, con gente annoiata che al 90% non capisce niente di quello che sta guardando,smanetta al cellulare o presenzia soltanto per mettersi in mostra, è doloroso per chi lavora nella moda
in questo va detto che è stato fatto un cattivo uso dei blog e i blogger per primi hanno trasformato le sfilate in eventi mondani dove la moda è soltanto un fattore secondario
però non dobbiamo dimenticarci che la moda non è completamente solo arte, il fine è anche vendere, perchè i soldi investiti sono tanti e se non vendi fallisci, fine del gioco
purtroppo di questi tempi bisogna fare buon viso a cattivo gioco, è questione di sopravvivenza