C’è bisogno di innamorarsi. Almeno una volta al giorno e mai della stessa cosa. E non lo dico solo per chi fa delle parole uno stile di vita o per chi vende ingegno. La verità è che ci siamo disabituati a esperire il reale. A ricercare la bellezza nella realtà. Saturati di immagini filtrate da strumenti, mezzi di comunicazione e software, ci si è impoveriti del piacere di guardare. Di vedere per noi stessi. All’ombra di Instagram e inebetiti da Pinterest, impiliamo visioni, ispirazioni che non ci appartengono.
Vediamo tutto. Ma con gli occhi degli altri.
E quando non accade, guardiamo per mostrare.
Siamo giunti a un impasse. E’ proprio del nostro tempo assistere a una sempre più grottesca spettacolarizzazione di cose, fatti e persone per illuminare di niente il buio lasciato dalla “notte del fantastico”. I designer di moda più blasonati sono sull’orlo del baratro. Trincerati dietro forme già viste e intristiti dal peso della creazione, c’è chi abbandona, chi viene licenziato e chi, come Guesquière, che tenta la carta più annichilente dell’ “iperfiction” innalzando il videogame a nuova frontiera di stile.
Dormienti dagli occhi spalancati, non si sa cosa immaginare, perché non si è più capaci di osservare.
L’immaginario ha bisogno di essere ossigenato di percezioni vere.
C’è bisogno di innamorarsi, sì, almeno una volta al giorno. Affinare i sensi per catturare lo stupore. Quello stupore autentico, sporcato di odori, sensazioni e memoria. Lo stesso stupore dell’infante per il quale “la strada d’estate è come la stanza dei giochi”*. Quello che ritroviamo in Proust con l’apparizione di un vecchio campanile di campagna o in Walser, credutosi principe di fronte alla magia silenziosa di un bosco.
Esisteva, un tempo, la figura del flaneur, un personaggio vagabondo, un’entità evanescente. Un po’ avventuriero, un po’ scienziato e un po’ perdigiorno. Il flaneur era solito comporre sinfonie visive precise e dettagliate sul suo passeggio.In completa comunione con il paesaggio si allungava con fare distratto e educato per i viali di Parigi, fin su per i villaggi affacciati sulla modernità. Ecco, dovremmo un po’ tutti riscoprirci flaneur. Visionari dall’animo semplice e sensibile, inclini all’estasi, investigatori della bellezza nel suo compiersi. Il mio walzer emotivo comincia da qui: in un giardino assopito nell’inverno.
*La passeggiata, p.10 ,R. Walser, Adelphi Edizioni 1976, Milano
Cappotto: Asos; Maglione: Mango; Pantaloni a vita alta palazzo: Mango; Borsa: Paula Cademartori; Scarpe: Adidas
Annamaria
Un po’ come i bambini, innamorati e stupidi della vita appena scoperta…
A presto,
peonynanni.blogspot.it